Potrei apparire un monomaniaco dell’argomento ma non è così, lo giuro. Desidero semplicemente completare il quadro di quanto, un po’ di getto e preso dal furore e dal travaglio per certe meschinità lette e sentite in giorni difficili, ho frettolosamente abbozzato in precedenza.
Per capire che Radio Radicale non è un organo di partito, o quantomeno non solo un organo di partito, basta ascoltarla per una ventina di minuti a qualsiasi ora, in qualsiasi momento dell’anno. Se fosse un organo di partito non farebbe intervenire in filo diretto con gli ascoltatori – senza censura e senza veline – gli esponenti di tutti i partiti, i movimenti, le sigle dell’arco costituzionale (per usare un’espressione vecchia come il primo topo), da Potere al Popolo a CasaPound. Se fosse un organo di partito, ad esempio, non farebbe curare l’edizione del sabato di "stampa e regime" a Marco Taradash e non farebbe sentire la voce di Emma Bonino, Riccardo Magi, Marco Cappato, Gianfranco Spadaccia e di tutti gli altri Radicali “eterodossi” fuoriusciti dal partito per tentare la strada insidiosa di Più Europa tra le polemiche interne, il fuoco amico e i veleni (tutti rigorosamente messi in piazza senza veline e senza indugio da Radio Radicale).
Se fosse un organo di partito, ovviamente, non cercherebbe di far parlare – più spesso balbettare – gli esponenti di quel MoVimento 5 Stelle che, tra una gaffee l’altra, intendono mettergli in bavaglio, o per lo meno cercherebbe di farlo solo nell’intento, nemmeno troppo complicato, di prenderli per il didietro, pratica nella quale, con una professionalità ed un controllo talvolta incredibili, a Radio Radicale non indulgono mai. Se fosse un organo di partito il PRTT (Partito Radicale Transnazionale Transpartito) avrebbe tentato di utilizzare parte del finanziamento della convenzione per sistemare quelle pendenze che, ormai da anni, rischiano di portarlo alla chiusura e alla scomparsa… ma non una lira, anzi non un euro di quanto versato dallo Stato alla Radio risulta utilizzato per qualcosa di diverso dal finanziamento delle trasmissioni in convenzione, e questo, con buona pace di Travaglio, è un fatto. Anzi, è un fatto quotidiano, perché tra alterne vicende, tra gli alti e i bassi della politica italiana, Radio Radicale svolge ogni giorno un servizio di informazione imparziale, in maniera assolutamente trasparente, da più di quarant’anni. Radio Radicale, soleva dire Pannella, non serve ai Radicali ma a tutti gli altri! E stupisce che gli internauti più navigati, quelli col like facile e con Wikipedia sempre pronto all’uso, non cerchino almeno su Wikipedia quanto attiene all’emittente incriminata – in mancanza di letture più impegnative. Troverebbero, come apertura della voce “Radio Radicale”, le parole semplici, chiare ed esaustive del solito Bordin:
«Radio Radicale non nacque per essere "la radio del Partito Radicale", quanto piuttosto per tentare di dimostrare concretamente, attraverso un'opera da realizzare, come i Radicali intendono l'informazione.
Creare un dato emblematico, in maniera sostanziale e non astratta, di quello che il servizio pubblico dovrebbe fare».
Creare un dato emblematico, in maniera sostanziale e non astratta, di quello che il servizio pubblico dovrebbe fare».
Ecco, il punto è proprio questo: il servizio pubblico non lo fa. Trasmette partite di ogni sport praticabile, ore di dibattiti tra cuochi sull’uso di una spezia o dell’altra, infinite diatribe tra vicini di casa per l’uso del pianerottolo condominiale, tutorials per la costruzione di origami giapponesi, approfondimenti sui più pruriginosi fatti di cronaca e format di moda, motori, gusto e cattivo gusto. Si dibatte nel libero mercato, con risultati più che soddisfacenti, tra l’altro. Compete ad armi pari coi network internazionali e contende alle reti private, a colpi di milioni delle nostre tasse (vedi il canone in bolletta che qualche birbaccione ha imposto ma che nessun bravo amministratore del cambiamento ha poi tolto) gli showman più cool e le showgirl più à la page… e dimentica di fare il suo mestiere, il servizio pubblico appunto. Ai signori Pentastellati (e al simpatico Gasparri, oggi improbabile difensore di Radio Radicale dopo averne chiesto per anni la chiusura) andrebbe ricordato, a tal proposito, che Radio Radicale nacque da una volontà che, almeno nelle intenzioni, li ha fortemente coinvolti negli ultimi anni: il rifiuto del finanziamento pubblico. Come i seguaci di Grillo hanno avuto modo di toccare con mano i rimborsi elettorali non si possono rifiutare e tentare di restituirli, oltre che arduo, risulta spesso poco praticabile, basti pensare a tutti coloro ai quali questi denari sono rimasti – per errore, ci mancherebbe - in tasca.
A suo tempo i Radicali decisero di utilizzare il finanziamento pubblico per restituire qualcosa di tangibile agli elettori. Non ai loro elettori, a tutti gli elettori, indistintamente, seguendo l’adagio einaudiano, col tempo divenuto vero e proprio mantra Radicale, conoscere per deliberare… ed ecco Radio Radicale.
E qui mi taccio, sperando di aver almeno in parte restituito qualcosa a quella cinquantina di dipendenti di Radio Radicale che presto perderanno il lavoro – nell’indifferenza proprio del Ministro del Lavoro che, incredibilmente, si rifiuta di incontrarne il Comitato di Redazione per ragionare del problema almeno in termini sindacali, come se si trattasse di lavoratori di serie B, perché, come ha detto il solito Travaglio, non sono neppure entrati in radio per concorso ma sono stati scelti dal Partito… altro che servizio pubblico: possono pure scoppiare!
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