giovedì 25 aprile 2019

Potrei apparire un monomaniaco dell’argomento ma non è così, lo giuro. Desidero semplicemente completare il quadro di quanto, un po’ di getto e preso dal furore e dal travaglio per certe meschinità lette e sentite in giorni difficili, ho frettolosamente abbozzato in precedenza.
Per capire che Radio Radicale non è un organo di partito, o quantomeno non solo un organo di partito, basta ascoltarla per una ventina di minuti a qualsiasi ora, in qualsiasi momento dell’anno. Se fosse un organo di partito non farebbe intervenire in filo diretto con gli ascoltatori – senza censura e senza veline – gli esponenti di tutti i partiti, i movimenti, le sigle dell’arco costituzionale (per usare un’espressione vecchia come il primo topo), da Potere al Popolo a CasaPound. Se fosse un organo di partito, ad esempio, non farebbe curare l’edizione del sabato di "stampa e regime" a Marco Taradash e non farebbe sentire la voce di Emma Bonino, Riccardo Magi, Marco Cappato, Gianfranco Spadaccia e di tutti gli altri Radicali “eterodossi” fuoriusciti dal partito per tentare la strada insidiosa di Più Europa tra le polemiche interne, il fuoco amico e i veleni (tutti rigorosamente messi in piazza senza veline e senza indugio da Radio Radicale). 
Se fosse un organo di partito, ovviamente, non cercherebbe di far parlare – più spesso balbettare – gli esponenti di quel MoVimento 5 Stelle che, tra una gaffee l’altra, intendono mettergli in bavaglio, o per lo meno cercherebbe di farlo solo nell’intento, nemmeno troppo complicato, di prenderli per il didietro, pratica nella quale, con una professionalità ed un controllo talvolta incredibili, a Radio Radicale non indulgono mai. Se fosse un organo di partito il PRTT (Partito Radicale Transnazionale Transpartito) avrebbe tentato di utilizzare parte del finanziamento della convenzione per sistemare quelle pendenze che, ormai da anni, rischiano di portarlo alla chiusura e alla scomparsa… ma non una lira, anzi non un euro di quanto versato dallo Stato alla Radio risulta utilizzato per qualcosa di diverso dal finanziamento delle trasmissioni in convenzione, e questo, con buona pace di Travaglio, è un fatto. Anzi, è un fatto quotidiano, perché tra alterne vicende, tra gli alti e i bassi della politica italiana, Radio Radicale svolge ogni giorno un servizio di informazione imparziale, in maniera assolutamente trasparente, da più di quarant’anni. Radio Radicale, soleva dire Pannella, non serve ai Radicali ma a tutti gli altri! E stupisce che gli internauti più navigati, quelli col like facile e con Wikipedia sempre pronto all’uso, non cerchino almeno su Wikipedia quanto attiene all’emittente incriminata – in mancanza di letture più impegnative. Troverebbero, come apertura della voce “Radio Radicale”, le parole semplici, chiare ed esaustive del solito Bordin:
 «Radio Radicale non nacque per essere "la radio del Partito Radicale", quanto piuttosto per tentare di dimostrare concretamente, attraverso un'opera da realizzare, come i Radicali intendono l'informazione.
Creare un dato emblematico, in maniera sostanziale e non astratta, di quello che il servizio pubblico dovrebbe fare
».
Ecco, il punto è proprio questo: il servizio pubblico non lo fa. Trasmette partite di ogni sport praticabile, ore di dibattiti tra cuochi sull’uso di una spezia o dell’altra, infinite diatribe tra vicini di casa per l’uso del pianerottolo condominiale, tutorials per la costruzione di origami giapponesi, approfondimenti sui più pruriginosi fatti di cronaca e format di moda, motori, gusto e cattivo gusto. Si dibatte nel libero mercato, con risultati più che soddisfacenti, tra l’altro. Compete ad armi pari coi network internazionali e contende alle reti private, a colpi di milioni delle nostre tasse (vedi il canone in bolletta che qualche birbaccione ha imposto ma che nessun bravo amministratore del cambiamento ha poi tolto) gli showman più cool e le showgirl più à la page… e dimentica di fare il suo mestiere, il servizio pubblico appunto. Ai signori Pentastellati (e al simpatico Gasparri, oggi improbabile difensore di Radio Radicale dopo averne chiesto per anni la chiusura) andrebbe ricordato, a tal proposito, che Radio Radicale nacque da una volontà che, almeno nelle intenzioni, li ha fortemente coinvolti negli ultimi anni: il rifiuto del finanziamento pubblico. Come i seguaci di Grillo hanno avuto modo di toccare con mano i rimborsi elettorali non si possono rifiutare e tentare di restituirli, oltre che arduo, risulta spesso poco praticabile, basti pensare a tutti coloro ai quali questi denari sono rimasti – per errore, ci mancherebbe - in tasca. 
A suo tempo i Radicali decisero di utilizzare il finanziamento pubblico per restituire qualcosa di tangibile agli elettori. Non ai loro elettori, a tutti gli elettori, indistintamente, seguendo l’adagio einaudiano, col tempo divenuto vero e proprio mantra Radicale, conoscere per deliberare… ed ecco Radio Radicale. 
E qui mi taccio, sperando di aver almeno in parte restituito qualcosa a quella cinquantina di dipendenti di Radio Radicale che presto perderanno il lavoro – nell’indifferenza proprio del Ministro del Lavoro che, incredibilmente, si rifiuta di incontrarne il Comitato di Redazione per ragionare del problema almeno in termini sindacali, come se si trattasse di lavoratori di serie B, perché, come ha detto il solito Travaglio, non sono neppure entrati in radio per concorso ma sono stati scelti dal Partito… altro che servizio pubblico: possono pure scoppiare!

mercoledì 24 aprile 2019

Di solito evito di commentare e di espormi. Un po’ perché, probabilmente, in certe cose sono poco coraggioso. Un po’ perché mi pare che ci voglia una buona dose di presunzione per immaginare che a qualcuno interessi davvero ciò che ad un qualsiasi me può balenare nella mente ogni mese, ogni settimana, ogni giorno… ogni momento insomma. Non sono uno scrittore, questo è certo, ma sicuramente sono un lettore, un lettore di tutto, anche di post. 
In questi fantomatici post, per qualcuno addirittura da annoverare tra i nuovi esempi di letteratura popolare contemporanea, talvolta ci si confronta con una vera urgenza di comunicare, e fin qui tutto bene. Il più delle volte, però, ci si imbatte in semplici esercizi di stile, meri tentativi di narrativa da salotto o di polemica da bar nobilitata dall’atto stesso di “pubblicare”. E d’altra parte sono state dette e scritte milioni di parole sul fenomeno dei social che ci rendono potenzialmente tutti “giornalisti d’assalto”, semplicemente valendoci di qualche idea - spesso presa in prestito - e di un motore di ricerca unito ad un po’ di taglia e cuci. Ecco, forse sono poco social; forse sono affezionato ai giornalisti veri, quelli come Massimo Bordin, per intenderci; forse sono semplicemente un vecchio. 
Essendo vecchio, dunque, in questi giorni, mentre tentavo invano di stuccare le decrepite travi del soffitto di casa mia, ascoltavo beatamente Radio Radicale. Non poter godere più dell’ironia graffiante e bronchiale di Bordin toglie e toglierà buona parte del piacere, è vero, ma Radio Radicale, come è stato detto da voci ben più autorevoli della mia, resta la più importante università popolare della politica che questo paese abbia mai avuto e, temo, avrà mai. Seguendo l’esempio e il consiglio di mio padre, spesso lontanissimo dalle idee Radicali ma sempre propenso ad utilizzare la Radio di Pannella come strumento imparziale di conoscenza, ho ascoltato Radio Radicale ogni volta che ho potuto, dai lunghi viaggi in treno ai brevissimi spostamenti in macchina, disegnando, mangiando, riposando e lavorando. 
Domani, forse, non la potrò ascoltare più. 
Già questo è causa sufficiente di dolore e di tristezza senza bisogno delle bestialità di Travaglio il quale, è bene ricordarlo, pur avendo più difetti che pregi, non è certo uno sciocco. E’ evidente, dunque, che la parzialità delle sue affermazioni, la semplicistica analisi di una situazione così complessa (omettendo le questioni relative alla pubblicità, ad esempio, o l’eccezionale valore aggiunto anche solo dell’archivio di Radio Radicale, al di là del servizio quotidianamente reso ai cittadini), lo stesso paradossale paragonare il Fatto Quotidiano ad un servizio pubblico (quello che la RAI non ha mai svolto, per intenderci), sono accorgimenti che rientrano nel tentativo di dare un giudizio mostruosamente di parte senza mistificare, si badi bene, ma semplicemente omettendo informazioni. 
Anche sentir parlare di piagnistei, di strumentalizzazione della morte di Bordin da parte “dei Radicali e dei loro amici” e di altre amenità consimili provoca dolore e tristezza (e anche un po’ di sdegno, onestamente), ma sicuramente Bordin saprebbe commentare certe uscite come si conviene. 
Quello che mi risulta davvero agghiacciante, però, è la tranquillità, la leggerezza con la quale Travaglio si chiede perché Radio Radicale non si decida ad andare sul mercato come tutte le altre emittenti e, se nessuno (leggi pochi) l’ascoltano, non si limiti a chiudere i battenti. 
Dunque la questione suona pressappoco così: per svolgere un servizio pubblico che praticamente tutti tranne il MoVimento 5 Stelle (con molti pareri contrari anche al suo interno, grazie al cielo) ritengono fondamentale e indispensabile e che nessuno (NESSUNO) ha mai voluto fare, Radio Radicale dovrebbe andare sul mercato, cercare sponsor e pubblicità. Se poi, come è prevedibile, gli sponsor non dovessero ritenere appetibile il finanziamento di un network che trasmette solo, si fa per dire, i lavori delle aule e delle Commissioni, le conferenze stampa, i congressi di TUTTI i partiti, i processi, gli approfondimenti in materia geopolitica e compagnia cantando… che chiuda e buonanotte suonatori: è segno che il grande pubblico non apprezza il prodotto, che il prodotto è fuori mercato, che il prodotto deve uscire di produzione o rinnovarsi. Potremmo allora immaginare Radio Radicale con programmi di musica pop o con dirette di eventi sportivi… un prodotto nuovo.
Ma Radio Radicale non è un prodotto, e Travaglio lo sa bene. Non si tratta del “mandarinetto” che va di moda per cinque Natali e poi non lo beve più nessuno. Non è un vestito che si può svecchiare con qualche volant
Radio Radicale è un servizio unico e preziosissimo, è un deposito di idee, è un archivio di interviste, è un’occasione di confronto, è il luogo del contraddittorio - concetto quasi del tutto estraneo a Travaglio, più uso al colpo di teatro, al monologo o meglio al comizietto, affascinato più che altro dalla propria voce. 
E cosa accadrebbe se si seguisse questo atteggiamento per tutto? Si smetterebbe di stampare Proust o Petrarca o Montale, roba da professorini e intellettualoidi un po’ snob, perché il grande pubblico legge più che altro Fusco o Malvaldi, quando va bene. Si chiuderebbero anzi le biblioteche – le librerie stanno già chiudendo – perché al grande pubblico basta Wikipedia. Non parliamo poi degli Archivi di Stato, roba che interessa una minoranza veramente esigua dei cittadini italiani ma che le tasse di tutti contribuiscono a mantenere aperti: perché non sgravare le tasche dei contribuenti di questo peso e ricorrere al crowdfunding?
Di mostre e musei, poi, è meglio non parlare; se si escludono il Louvre, la National Gallery, i Musei Vaticani e gli Uffizi, dove è importante andare per poter dire di esserci andati, il resto è roba dai numeri impresentabili. E’ risaputo che la stragrande maggioranza dei musei pubblici italiani è semplicemente un costo, lontanissima non dico dall’idea di guadagno ma dalla semplice autosufficienza: chiudiamoli e non parliamone più!
Chiudiamo i musei e le accademie, novelli futuristi, e come i futuristi aspetteremo la guerra, sola igiene del mondo. 
Chiudiamo le piccole testate di opposizione e Radio Radicale, coi suoi noiosissimi programmi, col suo incomprensibile archivio, con le sue tediose dirette dal Parlamento, perché alla fine chi se ne frega di sentire con le nostre orecchie quello che accade in Parlamento se tanto ce lo raccontano (con parole loro) i molti Travaglio. E quando finalmente, in barba al motto radicale “conoscere per deliberare” saremo circondati soltanto da un profluvio di tatuaggi, Fast and FuriousChampions League Masterchef, col placet di Travaglio e l’inatteso aiuto del cittadino Crimi (altro che Berlusconi) avremo finalmente realizzato la profezia di Licio Gelli: un mondo di ignoranti e inconsapevoli è molto più semplice da manovrare!